mercoledì 14 settembre 2011

Salvatore, [R], libertà, ricchezza, consapevolezza...

Per una volta non parliamo di sport. Quella che sto per proporvi è una riflessione che è scaturita in me in questi due giorni: è una storia di un incontro che si interseca con la storia di una visione.
Ma andiamo con ordine e partiamo dalla fine, o meglio dagli avvenimenti più recenti: a Milano è in corso, da alcuni giorni, il Milano Film Festival, a cui ho deciso per la prima volta di parteciparvi attivamente, seguendo la sapiente guida di Lucilla, una mia amica appassionata di cinema. Fra i corti in gara questa sera, un paio mi hanno colpito particolarmente: un cartone animato francese, sobrio e austero nei disegni, quasi di un’altra epoca, dal titolo [R], e un corto italiano, “Salvatore”, che affronta un tema di stretta attualità come il problema delle donne che rimangono incinte e perdono il posto di lavoro causa maternità.
L’idea del corto francese è basica ma molto efficace e riprende un topos della letteratura distopica, ovvero la repressione delle idee che non collimano con l’ortodossia. Nello specifico, in [R], tutto il mondo ruota attorno a questa lettera: le case sono a forma di r, l’alfabeto è composto solo da R, gli abitanti farfugliano in una strana lingua dove manco a dirlo la R la fa da padrona. Finché un bambino non comincia a immaginare lettere diverse e per lui cominceranno i guai, salvo poi che il suo alfabeto si imporrà e preverrà: la libertà di espressione trionfa sempre sulla repressione in un interessante ribaltamento di prospettiva rispetto ai classici della distopia (si pensi a “1984 “di Orwell o a “Il Mondo Nuovo” di Huxley dove le deviazioni dall’ortodossia sono sempre destinate a terminare con un fallimento).
“Salvatore” è il ponte fra le due parti della storia: la storia di visioni e la storia di un incontro. Ed ecco come lego fra loro i due elementi: al termine della proiezione, i registi del corto, i fratelli Urso, hanno discusso col pubblico del film. Da questa discussione è emerso come facciano fatica, loro che si occupano di temi di stretta e scottante attualità, a trovare un distributore, mentre i famigerati cinepanettoni che, puntuali come ogni disgrazia che si ritenga degna di portare tale nome, si abbattono su di noi a ogni Natale, si era pensato di considerarli patrimonio culturale italiano. L’ennesima, triste, deplorevole, autobiografia della nazione italiana, per usare un’espressione cara al grande Gobetti.
Cinepanettoni contro corti di attualità: gli uni producono ricchezza (i cinepanettoni) gli altri producono consapevolezza. Stessa, amara riflessione, fatta da un ragazzo che ieri avevo incontrato nell’attesa di essere ricevuto da un professore per chiarimenti sul programma d’esame. Noi, laureandi di storia (e di altre materie umanistiche e artistiche), non troviamo lavoro perché non solo non muoviamo ricchezza né la produciamo, ma soprattutto perché produciamo consapevolezza: consapevolezza nel passato che si tramuta in consapevolezza  di un futuro migliore. Ed è questo che spaventa, un popolo di consapevoli al posto di un popolo di buoi.
Insomma, un popolo che parli usando solo la R, come vuole l’ortodossia e non un popolo che immagini e perché no usi (essendone consapevole della loro esistenza) le altre lettere dell’alfabeto.

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