domenica 12 agosto 2012

Lettera di un tifoso deluso al Calcio

Caro Calcio,
chi ti scrive è un tuo tifoso deluso. 
Oddio, tifoso è una parola troppo grossa: non sono mai stato uno che bazzicava gli stadi, che faceva le trasferte per seguire la propria squadra, che tutte le domeniche, come un rituale, si alzava e andava a cantare cori nelle curve. No, io sono mai stato uno di queste persone. Ma un appassionato si. E anche molto: mi ricordo, qualche anno fa (non troppi, sono pur sempre giovane), il velo di tristezza per la fine di una stagione, la voglia matta che iniziasse quella nuova, le amichevoli estive alla tv con le squadre più improbabili che uomo avesse mai sentito o visto, i Mondiali da godere tutti di un fiato. E poi c'era quella bellissima telenovela del calcio-mercato: c'era un che di affascinante in quel mulinello di nome che giravano vorticosamente attorno a questo o quell'altro giocatore associato di giorno in giorno a questa o quell'altra squadra; c'erano speranze, illusioni, delusioni, i giornali acquistati e divorati alla ricerca di news, conferme o smentite; la televisione sempre sintonizzata alla ricerca di un notiziario sportivo. Era bello così, era bellissimo. 
Nel 2006, il primo strappo: si apre lo scandalo di Calciopoli. Partite comprate, arbitri "ammorbiditi", intercettazioni, sospetti, veleni, tifosi in piazza manco ci si preparasse alla rivoluzione d'Ottobre. Arrivò il mondiale e spazzò via tutto: dopotutto, si voleva mica gettare fango sugli eroi di Berlino, vero? Sia mai. Si ripartì a settembre con quello che avrebbe dovuto essere l'anno zero: l'Inter fu proclamato Campione d'Italia, la Juve sbattuta in serie B, le altre squadre penalizzate. In realtà tutto era rimasto immutato, anzi, se possibile i veleni e i rancori erano aumentati a dismisura: Inter-Juventus si trasformava sempre di più in una guerra tribale, mentre da una parte e dall'altra non mancavano sgarbi e colpi bassi. Poi arrivò Mourinho, quello che disse di non essere un pirla e in effetti fu tutt'altro: seppe adattarsi benissimo alla melma del calcio italico e ci sguazzò dentro in lungo e in largo, con i suoi zero tituli e le manette di Inter-Sampdoria. Assurse a profeta per il popolo nerazzurro, che lo idoltrò e lo coccolò e lui in cambio gli regalò la Leggenda: campionato, Coppa Italia e soprattutto Champions League, per un triplete che mai nessuno in Italia era riuscito a centrare prima di allora. Devo ammetterlo, quel Mourinho a tratti mi piaceva proprio: era un genio della comunicazione, sebbene troppo spesso andasse oltre.
Non sto a raccontarti tutte le tappe della tua caduta, caro Calcio, dal momento che le conosci meglio di me. Arriverò brevemente alla conclusione, perché purtroppo in questi ultimi mesi ci sono stati alcuni fatti che mi han fatto stancare di te:
a) il calcioscommesse: orribile, gente ricca e famosa che si vende partite per altri soldi. Che roba orribile, che enorme presa per il sedere andare a vedere uno show truccato pensando di assistere a un vero confronto fra sportivi
b) le Olimpiadi: che c'entrano le Olimpiadi col calcio? Forse niente, anzi sicuramente niente: altro spirito, altre storie, altri Sport. Però quest'anno a Londra abbiamo scoperto un'altra Italia, quella che nel silenzio e con grande sacrificio arriva all'eccellenza, senza clamore, senza luci della ribalta, senza paparazzi al seguito. Alla base invece tanta fatica e tanto sudore, ore e ore passate in pedana coi maestri d'arma, o al poligono o nelle palestre a tirare pugni e calci per fuggire alla fame e a un destino che altrimenti si sarebbe chiamato criminalità. Ah, a proposito: è stato bello per queste due settimane trovarti relegato solo a partire dalla pgina 26 della Gazzetta!
c) la Supercoppa di ieri a Pechino: non ho seguito la partita, ma a giudicare dal contorno di veleni e polemiche assortite non deve essere stato uno spettacolo edificante. Prima domanda: d'accordo che business is business, ma perchè a Pechino? Il calcio è passione popolare, se si allontana quella è la fine. E poi francamente mette tristezza, vera tristezza, sentire cinesi scandire cori del tipo "Noi non siamo napoletani" oppure "Sapete solo rubare". Da ultimo, la scenata del Napoli che non si presenta alla premiazione come segno di protesta. Il tutto mentre a Londra le ragazze della pallamano del Montenegro tributavano un lungo applauso alle avversarie vincitrici e invitavano tutto il pubblico del palazzetto a fare lo stesso. Perchè il vero Sport è questo, applaudire l'avversario sempre e comunque e accettare la sconfitta, in qualsiasi modo arrivi.
E' stata questa, forse perchè caduta in pieno periodo Olimpico, la goccia che ha fatto traboccare il vaso. 
Bene, caro calcio, ho finito. Ti saluto.

mercoledì 18 luglio 2012

Thank you, Alanis!



Ero già stato a vedere Alanis sette anni fa, quando venne a suonare al Forum di Assago: ricordo ancora quel concerto come fosse ieri, non solo perchè fu bellisismo ma perchè il giorno dopo avrei avuto un'interrogazione i nscienze decisiva per la mia ammissione alla maturità! Ma non appena ho saputo che sarebbe tornata a Milano per suonare nell'ambito del Milano Jazzin Festival (poi diventato City Sound), non ci ho pensato due volte e mi sono fiondato ad acquistare il biglietto.
Inzialmente previsto all'Arena civica, il concerto è stato poi spostato all'Ippodromo del Galoppo, poco distante dallo stadio di San Siro che faceva capolino maestoso sullo sfondo. Buona l'affluenza di pubblico (sebbene l'ampiezza dello spazio ha reso diffiicle una stima precisa dei convenuti) , favorita anche da una serata fresca e serena, ideale per ascoltare della buona musica all'aperto nel pieno del luglio milanese.
Alle 21.45 - non proprio puntualissima ma ha saputo farsi perdonare - Alanis è salita sul palco e lo ha tenuto senza interruzioni (se non quelle fisiologiche per farsi acclamare per i bis) per un'ora e mezza, riproponendo tutti i classici del suo repertorio e facendo un viaggio attraverso tutti i dischi finora pubblicati: dagli esordi di "Jagged little pill" - di cui ha cantato le grand hit come "Ironic", "Hands in my pocket", "You leran" e "You oguhtta know" fra le altre- fino all'ultimo disco ben rappresentato dal singolo "Guardian". Durante il concerto ha alternato fasi rock a fasi più acustiche e a momenti più intimistici, con delicate ballate per sola voce e pianoforte, dando prova di tutto il suo talento ed eclettismo musicale. Ottima la presenza scenica: per tutto il concerto Alanis ha fatto avanti e indietro sul palco, saltato e coinvolto il pubblico che all'unisono cantava a memoria le sue hit famose.
Dopo un paio di bis, il concerto si è concluso con "Thank you", secondo me una delle sue canzoni meglio riuscite e comunque eprfetta per congedarsi dal pubblico. Il quale a sua volta ha ringraziato Alanis con un lungo applauso.
Thank you Alanis, and hope to see you soon!

Elogio della follia del ciclista parte 2: Thomas Voeckler


Ci sono azioni, nel ciclismo, che hanno il potere di riconciliarti con uno dei più brutti Tour finora mai visti. E così, mentre Nibali prova perlomeno a cercare di scalfire il dominio granitico di Wiggins e Cadel Evans affondava sempre di più nella crisi che lo ha colto sulle rampe finali dell’Aspin, là davanti Thomas Voeckler costruiva il suo capolavoro. Un capolavoro fatto di lucida follia, determinazione, coraggio, gamba: nel ciclismo di oggi, dominato da robot radiocomandati dall’ammiraglia, qualche seguace di Erasmo da Rotterdam che fa della Pazzia la sua filosofia di corsa è sempre manna dal cielo, un po’ come fece quest’anno Boonen sull’inferno della Parigi-Roubaix.

Una fuga che sa di ciclismo d’altri tempi, perdipiù costruita nello scenario meraviglioso e al contempo infernale dei Pirenei e del cosiddetto “giro della morte”: Aubisque, Tourmalet, Aspin e Peyresourd, nomi che a solo pronunciarli fanno venire i brividi e tremare le gambe. Nomi che hanno fatto e che faranno la Leggenda del Tour, fatta di strade che si inerpicano sotto il sole bollente di luglio e popolate da migliaia e migliaia di tifosi provenienti da ogni parte del mondo e da mucche che brucano indifferenti alla fatica dei corridori.
T-Blanc, così è soprannominato Voeckler, non è di certo nuovo a imprese del genere e tutte le sue vittorie al Tour sono sempre state figlie di fughe da lontano; addirittura l’anno scorso tenne per alcuni giorni la Maglia Gialla e Evans dovette faticare non poco per avere ragione del coriaceo alsaziano abbonato alla lanterne rouge del premio combattività. Oggi è andato all’attacco fin dalle primissime battute della tappa, ha conquistato uno per uno tutti i Gran Premi della Montagna fino a strappare a Kessiakov la maglia a pois, e ha seminato ad uno ad uno tutti gli oltre trenta compagni di fuga andati all’attacco con lui al mattino, fino a rimanere da solo ai piedi del Peyresourd, dove si è liberato di Chris Sorensen. Al traguardo di Luchon ha così potuto brindare alla seconda vittoria in questa Grande Boucle.

Dal trionfo alla polvere, da Voeckler a Evans: all’australiano ora non resta che godersi gli ultimi giorni con il numero uno appiccicato alla sua maglietta rossonera della BMC e prendere atto che anche il podio ormai è pura utopia dopo gli oltre quattro minuti rimediati da Nibali, arrivato assieme a Wiggins e Froome dopo aver invano cercato di attaccarli sul Peyresourd. Chissà mai che domani l’australiano non si ricordi anche lui di aver letto Erasmo da Rotterdam (se lo ha letto) e non decida di diventare adepto della Follia lanciandosi anche lui in un attacco fin dalle prime battute: un qualcosa che ricordi ad esempio la meravigliosa cavalcata di Floyd Landis nel 2006, sebbene ci si auspichi un finale diverso dall’ingloriosa positività all’antidoping in cui incappò il Mormone in giallo. Win! Or die trying! Questo è il ciclismo che piace alla gente e che proietta gli atleti nell’Olimpo degli eroi.
Domani si sale ancora sui Pirenei, con la speranza di vedere ancora un’azione di questo genere, che può solo fare il bene di uno sport che fra eccessiva tattica a scapito dello spettacolo e continui scandali doping sta attraversando un momento poco brillante. Ma l’emozione di una cavalcata solitaria fra i giganti della montagna rimane un qualcosa di unico che solo uno Sport come il ciclismo può donare. Ed è quello che tutti i tifosi si augurano di ammirare.

domenica 22 aprile 2012

L'ennesima sconfitta del Calcio italiano


Quando sabato scorso la morte improvvisa e drammatica di Piermario Morosini aveva fatto calare un doveroso sipario di silenzio sul Campionato, parve per un attimo che anche il Dio Pallone avesse trovato un attimo di umanità. Da più parti si era levato il coro che c'erano cose più importanti che non una partita di calcio, e in molti si erano ripromessi di essere più buoni. 
Come non detto: passata l'onda emotiva per la tragedia, si è tornati alle care vecchie abitudini. Le polemiche sul recupero della giornata o sullo slittamento sono state solo l'antipasto di quanto accaduto ieri a Marassi durante Genoa-Siena. Dunque ricapitoliamo brevemente quanto accaduto. Minuto 53 della partita: il Siena ha appena messo a segno il goal del 4-0 che fa precipitare sempre più nel baratro un Genoa sempre più in crisi e sempre più vicino alla retrocessione. E' in quel momento che scatta la follia ultrà: alcuni individui si spostano dalla gradinata nord al settore distinti e cominciano a lanciare in campo petardi e fumogeni fino a ottenere la sospensione della partita. Quindi la pretesa che i giocatori si tolgano le maglie e le consegnino: loro sono indegni di vestire quella casacca gloriosa. Marco Rossi, il Capitano della squadra, dapprima prova ad andare a trattare coi facinorosi, quindi si arrende e ordina ai compagni di togliersi la maglia e darla a lui. In mezzo a tutto questo Mesto scoppia in lacrime, mentre Sculli, con coraggio e dignità affronta di persona gli ultrà e si rifiuta di cedere al suo ricatto. E' questa l'immagine simbolo di questa giornata, assieme a quella di una famiglia terrorizzata che scappa dagli spalti mentre tutto intorno a loro scoppia il caos. Per 50 lungissimi minuti il calcio italiano è ostaggio della follia e della violenza di un ristretto gruppo di gente che dicono di essere tifosi, quindi in un clima surreale la partita riprende e viene portata a termine. Finirà 4-1, perchè il Siena pietosamente non infierisce e "regala" anche un'autorete che rende meno pesante il passivo. Ma questa è solo una nota statistica.
Restano, in fondo a questo triste spettacolo, alcune riflessioni e alcune domande da porsi: perché si è permesso che la gente si spostasse tranquillamente da un settore all'altro dello stadio, soprattutto una volta che si erano intuite le loro reali intenzioni? Perchè questa gente è potuta entrare allo stadio senza problemi malgrado avesse con sè bombe carta e fumogeni? Perchè ogni volta chi ci deve smenare è il tifoso onesto e veramente appassionato che va allo stadio solo per vedere una partita o per passare una bella giornata in famiglia e si vede invece costretto a scappare in fretta e furia con i bambini terrorizzati?  Per non parlare poi dello squallido gioco dello scarica barile per appurare chi, fra la società e le forze dell'ordine, sia il reale responsabile della degenerazione della situazione. Purtroppo si sa come vanno le cose in Italia, si aspetterà la prossima tragedia per rifelttere e studiare nuove leggi perchè non accada più; si cavalcherà l'onda emotiva, ci si costernerà, ci si indignerà e in parte ci si impegnerà e poi si getterà la spugna con grande dignità. D'altronde, lo diceva anche il grande De Andrè in uno dei suoi tantissimi capolavori. Già, Faber: chissà cosa avrebbe pensato da Genovese e Genoano quale era.
Piccole note conclusive: ieri pomeriggio, al Molineux, il Wolwerhampton giocava contro il Manchester City con l'obbligo di vincere per mantenere viva anche solo una flebile speranza di salvezza. La partita si è conclusa 2-0 per la banda Mancini e per i Wolves si è aperto il baratro del Championship. Eppure i tifosi applaudivano e ringraziavano lo stesso i loro giocatori. Rimanendo in Italia e anzi saltando dall'altra sponda di Genova, tutti ricordano come finì la stagione scorsa della Samp: dal sogno Champions al dramma della retrocessione senza passare dal via. Ma finì anche con Palombo in lacrime che andava a scusarsi coi propri tifosi e con la maggior parte di essi ancora sugli spalti a cantare ed applaudire.

domenica 8 aprile 2012

L'ultima follia del ciclismo va ad un folle...giusto così!!!

C'è chi la definisce "l'ultima follia del ciclismo". Per molti è "l'Inferno del Nord". Per tutti è semplicemente la Parigi-Roubaix, una corsa che è un simbolo di quel fantastico sport che è il ciclismo. 260 chilometri in mezzo alle campagne francesi, in quel Nord-Pas de Calais reso famoso dal film "Giù al Nord", coi suoi cieli grigi e la pioggia che pare sempre doversi rovesciare sui corridori che arrancano nelle tortuose stradine in alcuni tratti ancora lastricati in pavè. Già, il pavè, il nemico di ogni ciclista: 50 chilometri di denti che sbattono, di braccia che tremano, di polvere che si solleva. E ancora va bene quando non piove: altrimenti le facce dei corridori si trasformano in maschere di fango che però nulla hanno a che vedere con le terme e i beauty center. E poi quei nomi, ormai scolpiti nella memoria di tutti gli appassionati: la foresta di Arenberg, il Carfour de L'arbre, al termine del quale si spalancano finalmente le porte del paradiso dopo tanto pedalare nell'Inferno.
E oggi Tom Boonen, fiammingo, ha scritto per la quarta volta il suo nome nell'Albo d'oro al termine di un'azione che si potrebbe definire folle. Già, perchè solo un folle (o un grande campione) poteva concepire l'idea di partire a 50 chilometri dalla fine, liberarsi di un compagno di squadra nemmeno fosse un peso e volare indisturbato verso la vittoria finale. La quarta. Prima di lui, solo un'altra leggenda del ciclismo belga, Roger De Vleaminck negli anni '70, era riuscito nell'impresa.
Un'azione d'altri tempi quella del fiammingo, una cavalcata solitaria che riporta alla memoria gli anni leggendari del ciclismo, quando il coraggio e la follia (e rieccoci!) del Campione decidevano le gare, e non le radioline e gli ordini dalle ammiraglie. Un uomo e la sua bicicletta, nemmeno i guantini di protezione: mancava soltanto il tubolare di riserva in spalla e le immagini in bianco e nero per trasportare Boonen negli anni ruggenti. 
C'è stata anche una piccola soddisfazione per i colori azzurri in questa giornata di elogio alla Follia che avrebbe fatto felice Erasmo da Rotterdam: il nostro Ballan si è classificato terzo. Ma questo è solo un dato statistico, per quanto importante: oggi a vincere è stata la Follia.  Secondo Erasmo la Follia allunga la vita. Non solo: fa aumentare anche il numero delle vittorie.  

sabato 11 febbraio 2012

Stop the business, rivogliamo lo sport!!!!

Le lacrime di una ragazza irlandese sugli spalti di Parigi è l'immagine simbolo della giornata sportiva di oggi. Piange perchè la partita di rugby Francia-Irlanda è stata rinviata causa ghiaccio. Non so quanto possa essere consolante che certe cose non accadono solo in Italia, ma anche in paesi che magari erano in prima fila nell'irridere l'Italia. Ma non è questo il punto: resta da chiedersi per quale motivo si perseveri nel portare avanti certe scelte in nome di un business che rovina lo Sport e che va a scapito dei veri appassionati. Come la povera ragazza irlandese, la quale avrà atteso chissà quanto l'opportunità di poter assistere dal vivo a una partita di rugby e che non ha potuto per via di una decisione assurda. Ora, lungi da me voler fare del populismo; ma alcune domande sorgono spontanee. Dato che non è una novità dell'ultimo secondo che alla sera le temperature scendono sotto lo zero e dato che è risaputo che il campo dello Stade de France non è dotato di serpentine di riscaldamento, per quale motivo perseverare nel voler giocare una partita alle nove di sera? Ma soprattutto, perchè annunciare il rinvio della partita solo all'ultimo momento, dopo che l'intero pubblico è entrato allo stadio e le squadre erano pronte per giocare? Salvo cataclismi improvvisi, l'impraticabilità del campo non è un fenomeno che si realizza in pochi secondi. Nella pur disastrata Italia, il rinvio delle partite viene se non altro deciso con abbastanza anticipo. 
Agendo in questo modo invece si è mancato di rispetto alla gente che aveva acquistato il biglietto, sobbarcatosi al trasferta e relativi corsi, ai giocatori. Con questo non voglio dire che si doveva giocare: giocare su un campo come il marmo, per giunto in uno sport di contatto quale è il rugby, è troppo pericoloso e su questo non ci piove. Solo, bastava un minimo di avvedutezza in più e tutto sarebbe andato a posto. Il fatto che il biglietto rimanga valido per il recupero della partita (ci mancava anche il contrario!) resta ben magra consolazione, soprattutto per i tifosi irlandesi, i quali devono pagarsi nuovamente per intero il viaggio, volo e albergo compresi.
D'accordo il detto business is business, ma si faccia in modo che esso non sia a scapito di chi nello sport ci crede; si faccia in modo che questo business possa essere garantito: si prenda l'esempio della Germania, dove si è giocato a calcio malgrado una temperatura di -13 gradi!! O in Inghilterra, dove una fitta nevicata non ha impedito che si disputasse la partita del Manchester City! 
Ci vuole poco...
Stupisce comunque in questo caso specifico l'incompetenza e la superficialità del comitato organizzatore del Sei Nazioni e della federazione internazionale, nonchè la mancanza di un impianto di riscaldamento del campo in uno stadio come quello di Parigi. Non si sa quando la partita verrà recuperata, resta comunque la delusione. Anche per me semplice appassionato da poltrona...

giovedì 2 febbraio 2012

Ma ne vale ancora la pena???

Non passa giorno che non arrivino notizie nuove e sempre peggiori sul nuovo (ennesimo, al punto da non fare più notizia) scandalo che colpisce il calcio italiano: negli anni Ottanta il toto-nero, poi nell'anno di (dis)Grazia 2006 Calciopoli, i cui strascichi polemici ancora si trascinano oggi fra tavoli della pace, offerte di conciliazione et similia, tutte risoltesi con un buco nell'acqua. E adesso un nuovo, ancora più grave scandalo di scommesse illegali getta un'ombra sinistra sul campionato che un tempo era il più bello del mondo e che ora ha perso del tutto il suo appeal, divorato da stadi obsoleti, scandali, polemiche continue. Secondo le indagini risulterebbero falsate ben 14 partite dello scorso torneo, al punto che lo stesso campionato debba essere considerato come irregolare. Quella che all'inizio pareva più una storia da bar sport, un film recitato da attoruncoli da quattro soldi che regalavano spunti di comicità a tratti commovente (ricordate il portiere che che calmava i bollori agonistici dei suoi compagni con strani intrugli nelle loro bevande? Oppure una ex star mondiale del calcio italiano, troppo poco telegenica per poter aspirare al luccicante mondo dei reality, spesso e volentieri elisir di giovinezza per ex calciatori o pseudo-tali al termine della loro carriera?), in realtà si è pian piano un thriller kolossal con tanto di risvolti internazionali: malavite organizzate di un po' tutto il globo banchettavano allegramente al gran buffet del calcio italiano, imbastendo giri di scommesse milionarie che in pochi attimi erano in grado, con la complicità di giocatori accondiscendenti a cui non pareva vero arrotondare senza troppa fatica il loro già più che onorevole salario, di truccare partite aggiustando il risultato come più gli aggradava!
Ora, lascando da parte l'aspetto cronachistico, abbondantemente trattato da tutti i giornali e organi di informazione, sorge spontanea una domanda: ma ne vale ancora la pena? Ne vale ancora la pena accapigliarsi, soffrire, incazzarsi per gente che, malgrado prenda stipendi se non milionari comunque di qualche centinaio di migliaia di euro annuali in fondo solo per divertirsi, non trova scandaloso arrotondare un po' con metodi illeciti? Vale la pena muoversi col caldo torrido, col freddo polare, con la pioggia, con il sole, con la neve per andare allo stadio e assistere a uno spettacolo finto con l'illusione di assistere a uno spettacolo autentico? La risposta a tutto questo è: no, non ne vale la pena! Finchè non si deciderà una volta per tutte di agire, di fare piazza pulita e di evitare che tutto questo possa ancora ripetersi; solo allora si potrà tornare allo stadio, a vedere le partite consci di poter godere finalmente di uno spettacolo sincero e autentico. Sennò lo si dica fin dall'inizio: quello a cui state per assistere è tutto una finta, frutto di un copione preparato in precedenza. In America, le migliaia di persone che a ogni appuntamento affollano le arene dove vanno in scena gli eventi del circo del wrestling WWE, sanno (salvo eccezioni di spettatori poco avveduti convinti che il wrestling sia verità) di assistere a uno spettacolo pre-confezionato, e con questo spirito si recano a vederlo.
Purtroppo però in un paese come l'Italia la soluzione ai mali del calcio la vedo una chimera: aldilà del mare di interessi che attorno ad esso ruotano, è proprio l'indole italica a favorirne il marcio e in particolare quel fenomeno che si chiama "cavalcare l'onda emotiva". Nei primi giorni si è tutti colpevoli, poi quando l'onda comincia a rifluire e la pressione ad allentarsi, pian piano si può tornare alle vecchie abitudini. L'unica accortezza? Cercare di non venire travolti dall'onda! E' così per tutto: dopo i casi di violenza sulle donne, per la pirateria stradale e tanto altro. E anche il fatto che il buon Simone Farina, giocatore del Gubbio che si è ribellato al sistema delle scommesse e ha rifiutato di vendere la partita della sua squadra, sia assurto a eroe nazionale solo perchè ha fatto ciò che qualsiasi persona di coscienza e di sani principi, è indicativo di come vada il mondo. Per lui sono piovuti elogi, e addirittura la convocazione in Nazionale e l'invito nel gotha del calcio venendo chiamato nientemeno che  alla premiazione del Pallone d'oro. Però, purtroppo per lui, anche l'onda emotiva si è sgonfiata e ora è rimasto da solo.
Questo calcio è malato, e finché non guarirà, la domanda da porsi è sempre la stessa: ma ne vale ancora la pena? E purtroppo anche la risposta è sempre e solo una: no, non ne vale la pena!

venerdì 20 gennaio 2012

Quel fottuto binomio sport-morte...

La morte della sciatrice free-style canadese Sarah Burke, deceduta dopo nove giorni di coma in seguito a un incidente in allenamento, ha tragicamente riportato a galla quel binomio sport e morte che da almeno un paio d'anni si è preso la ribalta con una regolarità agghiacciante. Tutto era iniziato a Vancouver, durante quella che avrebbe dovuto essere la grande festa delle Olimpiadi invernali. Invece la Nera Signora, quella a cui nessuno sfugge, ha deciso di entrare in scena lì, portandosi via i sogni olimpici assieme alla giovane vita di Nodar Kumaritashvili, uno slittinista georgiano orribilmente schiantatosi contro i paletti esterni a quel budello di ghiaccio che molti, compresi affermati ed esperti campioni, avevano bollato come pericoloso.
Misano Adriatico, 5 settembre 2010: all'Autodromo Santa Monica c'è clima di grande festa in occasione della tappa di San Marino del Motomondiale. Ad un tratto accade l'imponderabile: Shota Tomizawa, un giovane fantino giapponese perde il controllo della moto e cade, venendo subito centrato da Alex De Angelis e Scott Redding. A distanza di una settimana dalla morte del piccolo Peter durante una gara di contorno della tappa americana, un altro lutto funesta il Motomondiale. Ma è il 2011 il vero annus horribilis: durante la terza tappa del Giro d'Italia, il 26enne belga Weylandt cade in discesa: le immagini del suo volto squassato, del sangue che esce, del disperato tentativo di rianimazione faranno il giro del mondo. Il giorno dopo l'intera carovana sfilerà muta e triste in memoria del compagno d'avventura tragicamente scomparso.
Motorsport is dangerous! E' un mantra che tutti devono sempre tenere in mente e per questo a ogni ingresso d'autodromo la scritta campeggia a memento. Dan quella gara non doveva correrla. Dan era stato convinto a partecipare dal gran capo della Indy con una scommessa tanto folle quanto affascinante: vincere la corsa di Las Vegas, capitale del gioco d'azzardo, partendo per ultimo. In caso di esito positivo lui e un fortunato scommettitore si sarebbero spartiti un ricco bottino. Ma la corsa e la vita di Dan sono finite all'undicesimo giro, in un inferno di lamiere e fiamme che ha coinvolto 15 vetture. Dan aveva un debito con la sorte: qualche mese prima, aveva vinto la sua seconda 500 miglia di Indianapolis sfruttando un clamoroso errore del rookie Hildebrand all'ultima curva. Nella capitale del gioco d'azzardo, la Sorte si è presa tutto, persino gli interessi.
L'ultima immagine che ho di Marco è lui sorridente, con i suoi mille riccioli avvolti da un asciugamano giallo per combattere la calura. Sorrideva e teneva in mano un cartello con cui pubblicizzava il suo sito. Quel giorno c'era Nuova Zelanda-Francia, la finale del mondiale di Rugby. Nemmeno il tempo di sedermi in camera mia che arriva mio padre, con una faccia da funerale che ricorderò per sempre: mi informava che Marco era stato vittima di un terribile incidente, che era lì immobile in mezzo alla pista senza casco e che assai probabilmente era morto. Pensavo a un suo scherzo, macabro: ma come poteva essere successo, se fino a un minuto prima era lì con il suo cartello? 
E poi Guido Falaschi, pilota di turismo argentino; qualche giorno prima un piccolo cartista sempre in Argentina. E poi quest'anno l'incidente mortale alla prima tappa della Dakar sudamericana. Fino alla morte di Sarah. Lo ammetto, non sapevo chi fosse, ma la sua storia mi ha colpito molto. Era una bella ragazza canadese, fisico da pin-up e curriculum sportiva da fenomeno; anche grazie a lei e alla sue determinazione lo sci free-style si è guadagnato un posto alle Olimpiade. Che sono sicuro lei guarderà da una posizione speciale. Assieme a Dan, a Marco, a Shoya, a Wouter, a tutti quelli che la Nera Signora ha deciso di portare via con sè.
A proposito: oggi Marco compie 25 anni. Ovunque tu sia, Auguri!