mercoledì 3 agosto 2011

E se...o della donchisciottesca crociata per un ritorno allo sport di un tempo!


E se….
E se tornassimo al ciclismo dei pionieri, dei Garin, dei Christophe, un ciclismo eroico, crudele, inumano? Se tornassimo al calcio di una volta? Se tornassimo al rugby romantico? Al tennis delle racchette di legno? Alla Formula 1 di Fangio e al Motociclismo di Agostini e Hailwood?
Sono naturalmente provocazioni, si sa che indietro non si torna. O meglio, al massimo si fa un passo indietro, ma mai indietro in toto. Però,  nel mio Don Chisciottesco mondo, rimane la concezione romantica dello sport, uno sport capace di alimentare leggende, aneddoti, che rimarranno per sempre nel Grande libro della Storia.
Perché non togliere le radioline dal ciclismo, che hanno trasformato i corridori in piccoli robot comandati dalle ammiraglie? Togliamo le radioline e torneranno i tempi eroici di Copi, Bartali, di quelle azioni epiche che si concludevano al traguardo con distacchi abissali. Rivogliamo il ciclismo dove sono i corridori, con il loro istinto, a fare l’impresa. Mi si sono illuminati gli occhi a vedere il tentativo eroico di Andy Schleck  di prendersi la maglia Gialla, con un’azione folle e bellissima cominciata a 60 chilometri dalla fine di una tappa infernale. E che dire di Contador, campione troppo discusso, che dopo essere andato in crisi il giorno prima, scatta a novanta chilometri dalla fine con un’idea ben precisa: cercare di far saltare il Tour anche a costo di saltare lui stesso. Una lucida, commovente follia la sua, che purtroppo non è stata premiata, ma che ha fatto fare pace a molti con il ciclismo.
Prima ho detto: e se tornassimo al ciclismo di Christophe? Sarebbe troppo. Per chi non conoscesse la storia di Eugene Christophe, essa si situa nel lontano 1913. A quell’epoca, era vietata ogni tipo di assistenza ai corridori, si correva su mulattiere e le tappe duravano più di trecento chilometri, si partiva al mattino e si arrivava (per chi arrivava) alla sera. Dopo aver scalato il terribile Tourmalet, una delle vette pirenaiche più famose e leggendarie, il nostro ruppe la bicilette e fu costretto a fare l’intera discesa a piedi, bici in spalla, trovare un fabbro e ovviamente provvedere da solo ad aggiustarsi la biciletta. E’ chiaro che sarebbe ingiusto e inumano tornare a quei tempi, ma un piccolo passo indietro lo si può fare, come detto, togliendo le radioline e  abolendo i corridori telecomandati.
Il nuoto ad esempio, un passo indietro lo ha fatto, abolendo i super-costumoni di poliuretano che trasformavano gli atleti in veri e propri missili che disintegravano i primati del mondo con una facilità imbarazzante: aboliti questi, le gare sono altrettanto divertenti e il merito dei primati è da ascriversi in toto alle forze dell’uomo (nel mio donchisciottesco mondo non c’è spazio per il doping.)
Lo so che queste mie parole sono sprecate; che i soldi e gli interessi ormai hanno rovinato tutto,  che tornare indietro non è più possibile; che la tecnologia ha fatto molto per la sicurezza degli atleti. Tutti questi punti sono innegabili e l’ultimo è encomiabile: ma dove la tecnologia è inutile, o perniciosa, perché non abolirla?
Nel rugby c’è una leggenda che aleggia sugli All Blacks, una delle tante che circondano la mitica squadra Neo Zelandese: nel 1905, al termine del Tour in Europa, si disputò una partita contro il Galles, che terminò con la vittoria per 3-0 dei Gallesi. Ma la partita si tinse di giallo quando Bob Deans, trovò il  varco giusto nella difesa Gallese e si tuffò. Fu proprio in quel momento che venne placcato, proprio sulla linea di meta; o forse no? L’ardua decisione spettava a un arbitro scozzese, tale John Dewar Dallas, 27 anni., che optò per non assegnare la meta. Da quel momento quella meta o non meta resterà per sempre nella leggenda del rugby: per i Gallesi non era meta, per l’abitro non era meta, per Deans era meta, tanto che tre anni dopo, prima di spegnersi a soli 24 anni, nel suo lettò di morte sussurrò: “I really scored the try”.
Oggi l’arbitro avrebbe chiamato in suo soccorso la moviola elettronica e il caso si sarebbe subito risolto e il tutto sarebbe finito nel dimenticatoio, nel limbo, nella gran tinozza delle mete o delle non mete.  E leggende come queste non sarebbero più possibili, e i nonni non racconteranno mai più storie così ai nipoti.
Oggi si sentono levarsi campagne popolari a favore della moviola in campo nel calcio: fermo restando che il Calcio è una causa persa, un mondo a sé governato ormai da interessi e dal Dio denaro, non credo che la moviola risolva il problema.
E’ cent’anni che si gioca a calcio, e si è sempre fattoa meno della moviola, perché introdurla ora? Certo con la moviola Hurst non avrebbe visto validato il suo goal nella famigerata finale dei Mondiali 1966, né Maradona sarebbe potuto assurgere alla leggenda calcistica con il nome di “La mano de Dios”, ma sono questi episodi ad alimentare quell’alone di mistero e leggenda che rende lo sport così popolare e amato.
Questo a patto di vivere lo sport per quello è: appunto uno sport!
Ma qui è tutt’altra storia e purtroppo la mia tautologia è destinata rimanere solo tale perché vedo che sempre di più gli interessi entrano a far parte dello Sport e lo allontanano dalla gente.