mercoledì 18 luglio 2012

Thank you, Alanis!



Ero già stato a vedere Alanis sette anni fa, quando venne a suonare al Forum di Assago: ricordo ancora quel concerto come fosse ieri, non solo perchè fu bellisismo ma perchè il giorno dopo avrei avuto un'interrogazione i nscienze decisiva per la mia ammissione alla maturità! Ma non appena ho saputo che sarebbe tornata a Milano per suonare nell'ambito del Milano Jazzin Festival (poi diventato City Sound), non ci ho pensato due volte e mi sono fiondato ad acquistare il biglietto.
Inzialmente previsto all'Arena civica, il concerto è stato poi spostato all'Ippodromo del Galoppo, poco distante dallo stadio di San Siro che faceva capolino maestoso sullo sfondo. Buona l'affluenza di pubblico (sebbene l'ampiezza dello spazio ha reso diffiicle una stima precisa dei convenuti) , favorita anche da una serata fresca e serena, ideale per ascoltare della buona musica all'aperto nel pieno del luglio milanese.
Alle 21.45 - non proprio puntualissima ma ha saputo farsi perdonare - Alanis è salita sul palco e lo ha tenuto senza interruzioni (se non quelle fisiologiche per farsi acclamare per i bis) per un'ora e mezza, riproponendo tutti i classici del suo repertorio e facendo un viaggio attraverso tutti i dischi finora pubblicati: dagli esordi di "Jagged little pill" - di cui ha cantato le grand hit come "Ironic", "Hands in my pocket", "You leran" e "You oguhtta know" fra le altre- fino all'ultimo disco ben rappresentato dal singolo "Guardian". Durante il concerto ha alternato fasi rock a fasi più acustiche e a momenti più intimistici, con delicate ballate per sola voce e pianoforte, dando prova di tutto il suo talento ed eclettismo musicale. Ottima la presenza scenica: per tutto il concerto Alanis ha fatto avanti e indietro sul palco, saltato e coinvolto il pubblico che all'unisono cantava a memoria le sue hit famose.
Dopo un paio di bis, il concerto si è concluso con "Thank you", secondo me una delle sue canzoni meglio riuscite e comunque eprfetta per congedarsi dal pubblico. Il quale a sua volta ha ringraziato Alanis con un lungo applauso.
Thank you Alanis, and hope to see you soon!

Elogio della follia del ciclista parte 2: Thomas Voeckler


Ci sono azioni, nel ciclismo, che hanno il potere di riconciliarti con uno dei più brutti Tour finora mai visti. E così, mentre Nibali prova perlomeno a cercare di scalfire il dominio granitico di Wiggins e Cadel Evans affondava sempre di più nella crisi che lo ha colto sulle rampe finali dell’Aspin, là davanti Thomas Voeckler costruiva il suo capolavoro. Un capolavoro fatto di lucida follia, determinazione, coraggio, gamba: nel ciclismo di oggi, dominato da robot radiocomandati dall’ammiraglia, qualche seguace di Erasmo da Rotterdam che fa della Pazzia la sua filosofia di corsa è sempre manna dal cielo, un po’ come fece quest’anno Boonen sull’inferno della Parigi-Roubaix.

Una fuga che sa di ciclismo d’altri tempi, perdipiù costruita nello scenario meraviglioso e al contempo infernale dei Pirenei e del cosiddetto “giro della morte”: Aubisque, Tourmalet, Aspin e Peyresourd, nomi che a solo pronunciarli fanno venire i brividi e tremare le gambe. Nomi che hanno fatto e che faranno la Leggenda del Tour, fatta di strade che si inerpicano sotto il sole bollente di luglio e popolate da migliaia e migliaia di tifosi provenienti da ogni parte del mondo e da mucche che brucano indifferenti alla fatica dei corridori.
T-Blanc, così è soprannominato Voeckler, non è di certo nuovo a imprese del genere e tutte le sue vittorie al Tour sono sempre state figlie di fughe da lontano; addirittura l’anno scorso tenne per alcuni giorni la Maglia Gialla e Evans dovette faticare non poco per avere ragione del coriaceo alsaziano abbonato alla lanterne rouge del premio combattività. Oggi è andato all’attacco fin dalle primissime battute della tappa, ha conquistato uno per uno tutti i Gran Premi della Montagna fino a strappare a Kessiakov la maglia a pois, e ha seminato ad uno ad uno tutti gli oltre trenta compagni di fuga andati all’attacco con lui al mattino, fino a rimanere da solo ai piedi del Peyresourd, dove si è liberato di Chris Sorensen. Al traguardo di Luchon ha così potuto brindare alla seconda vittoria in questa Grande Boucle.

Dal trionfo alla polvere, da Voeckler a Evans: all’australiano ora non resta che godersi gli ultimi giorni con il numero uno appiccicato alla sua maglietta rossonera della BMC e prendere atto che anche il podio ormai è pura utopia dopo gli oltre quattro minuti rimediati da Nibali, arrivato assieme a Wiggins e Froome dopo aver invano cercato di attaccarli sul Peyresourd. Chissà mai che domani l’australiano non si ricordi anche lui di aver letto Erasmo da Rotterdam (se lo ha letto) e non decida di diventare adepto della Follia lanciandosi anche lui in un attacco fin dalle prime battute: un qualcosa che ricordi ad esempio la meravigliosa cavalcata di Floyd Landis nel 2006, sebbene ci si auspichi un finale diverso dall’ingloriosa positività all’antidoping in cui incappò il Mormone in giallo. Win! Or die trying! Questo è il ciclismo che piace alla gente e che proietta gli atleti nell’Olimpo degli eroi.
Domani si sale ancora sui Pirenei, con la speranza di vedere ancora un’azione di questo genere, che può solo fare il bene di uno sport che fra eccessiva tattica a scapito dello spettacolo e continui scandali doping sta attraversando un momento poco brillante. Ma l’emozione di una cavalcata solitaria fra i giganti della montagna rimane un qualcosa di unico che solo uno Sport come il ciclismo può donare. Ed è quello che tutti i tifosi si augurano di ammirare.